PUÒ ESSERCI UN MONDO PIÙ GIUSTO NEL TEMPO NUOVO CHE VIVIAMO?

di Rino Malinconico

 

1) Bisognerebbe essere fortemente consapevoli sia della assoluta novità del tempo che stiamo vivendo e sia della sua estrema complessità. La qual cosa, per come la vedo io, ci obbligherebbe a mettere costantemente al centro le due grandi questioni che contraddistinguono il mondo di oggi, e cioè la questione della guerra e del militarismo e la questione del disastro ambientale e dell’emergenza climatica. Che peraltro occorrerebbe collegare in una salda visione d’insieme.

D’altronde, sono proprio la corsa accelerata verso una nuova catastrofica guerra mondiale e il crescere esponenziale del disastro ambientale e climatico che, come loro primo nefasto effetto politico, stanno portando rapidamente a compimento la dissoluzione della democrazia formale. Dappertutto crescono le pratiche di irreggimentazione e disciplinamento; e dappertutto sono sotto attacco le regole fondative del liberalismo politico e gli assetti sociali del compromesso tra capitale e lavoro affermatisi e diffusisi, a partire dall’Occidente, dopo la Seconda guerra mondiale.

Di fatto, il quadro politico mondiale appare visibilmente egemonizzato dai partiti e dalle culture di destra. E si tratta, nella maggior parte dei casi, di destre autoritarie e aggressivamente nazionaliste, attraversate da profondissimi sentimenti xenofobi e razzisti.

 

2) Il dato decisivo è che il baratro di una guerra generale rimane oggi tragicamente concreto. I conflitti armati in corso e il solidificarsi a scala generale delle pulsioni belliciste si alimentano, infatti, di tre epocali processi storici: 1) la vera e propria dissoluzione (divenuta sempre più chiara negli ultimi due decenni) del mondo unipolare avviatosi più di quarant’anni fa col crollo del blocco sovietico e la obiettiva vittoria dell’Occidente nella “guerra fredda”; 2) il disfacimento ormai irreversibile della globalizzazione capitalistica dei mercati, logorata già negli anni Settanta dagli shock petroliferi e dal venir meno degli accordi di Bretton Woods sulla equiparazione tra il valore del dollaro e il valore dell’oro, e poi acceleratasi a dismisura con la crisi economica e finanziaria del 2008; 3) l’emergere sostanzialmente inarrestabile – e al di fuori del contesto euro-atlantico, come pure al di là della Russia e della Cina - di una articolata “seconda linea” di potenze economiche e militari (alcune con dotazioni nucleari), ciascuna smaniosa di concretizzare le proprie esclusive aree di influenza.

Considerati nel loro insieme, questi epocali processi storici basterebbero già da soli a segnare una robustissima linea di frattura con la Seconda metà del Ventesimo secolo. Ma lo stacco è in verità ancora più gigantesco, poiché occorre aggiungere - alle dinamiche economiche e politiche che hanno terremotato gli equilibri mondiali - la vera e propria trasformazione antropologica avvenuta negli ultimi decenni con la gigantesca rivoluzione scientifica e tecnologica dell’informatica e della robotica; rivoluzione, del resto, ancora in pieno svolgimento.  

L'espandersi dei contesti virtuali accanto, e non di rado addirittura al di sopra della realtà materiale, intellettuale e spirituale con la quale gli esseri umani hanno camminato per millenni; e la presenza sempre più significativa, attorno a noi, di entità robotiche che custodiscono, nel vecchio manufatto meccanico-industriale, un cuore pulsante fatto di comandi algoritmici collegati a specifici centri di controllo e gestione a distanza (anch'essi totalmente informatizzati) sono due fatti storici giganteschi e per nulla “neutri”. Hanno portato con sé enormi conseguenze sociali e antropologiche.

Detto in breve, la realtà virtuale e le creazioni robotiche hanno determinato inedite e pervasive dinamiche esistenziali, che hanno già modificato in profondità le modalità e i contenuti stessi del vivere, del lavorare e del comunicare. Li hanno modificati pressoché per tutti gli uomini e tutte le donne di questo pianeta.

Occorrerà pur riflettere in modo non superficiale su quello che sta avvenendo. Una volta i filosofi partivano dalla domanda “Cos’è l’uomo?”. Oggi dovremmo cominciare a interrogarci diversamente. E cioè: “che ne è dell’uomo?”, “cosa stanno diventando gli esseri umani?”

Senza lasciarsi andare a scenari apocalittici, bisognerebbe accorgersi di come, giorno dopo giorno, si stia continuamente auto-modellando una identità umana tutta schiacciata sulla immediatezza del presente e sempre meno capace di padroneggiare i paradigmi del passato e del futuro. E questo ha che fare enormemente anche con la effettiva capacità umana di controllare le vicende storiche. Oggi, finanche le guerre guerreggiate sembrano svolgersi quasi per forza propria: con una strabiliante incapacità, tanto dei governanti quanto dei governati, di rendersi conto di ciò che sta accadendo.

 

3) È vero: non siamo alla conflagrazione mondiale generalizzata. In questo anno 2025 viviamo largamente ancora nello spazio del “prima”. Ma possiamo mai dirci “al sicuro”? Possiamo mai esser certi che un domani gli storici nostri discendenti non parleranno di questo periodo come degli “anni precedenti” il disastro?

Oggi come oggi, non c’è dubbio che gli eserciti si scontrano, e contano i morti e i mutilati, solamente in aree circoscritte. Non è un tempo caratterizzato in modo univoco; e ci sono evidenti incertezze, contrasti, contraddizioni e contorsioni all’interno di tutti gli schieramenti. Anzi, in ogni singolo Paese le classi dirigenti faticano visibilmente a trovare una sintesi stabile tra i propri interessi e le proprie aspirazioni. Sbaglieremmo tuttavia a illuderci: considerando l’insieme delle cose, io ritengo che stiamo anche procedendo in modo straordinariamente accelerato verso il precipizio.

Per dirla con chiarezza: sarebbe un grave errore interpretare come “apertura alla pace” la facilità con cui si solidificano e si incrinano, e anzi si fanno e si disfano, le alleanze e le solidarietà tra i governi e gli Stati.

Certo, se il governo degli Stati Uniti, come sta avvenendo in queste settimane, ricomincia a parlare col governo russo, potrebbe davvero succedere che si allenti la situazione di scontro militare in Ucraina. E però, contemporaneamente, i fattori complessivi di guerra ne uscirebbero comunque potenziati: vuoi perché una parte dei Paesi europei, i più significativi per peso politico ed economico, avvierebbero giocoforza una corsa autonoma al riarmo e assumerebbero una più aperta postura militarista; vuoi perché gli USA potrebbero “concentrarsi” più facilmente sul Vicino Oriente, sull’America Latina e sul vasto scenario dell’Oceano Pacifico e dell’Asia Orientale; vuoi perché la Russia potrebbe premere con più risorse, militari ed economiche, sulle aree europee e asiatiche già appartenute all’Impero zarista e all’URSS, come pure agire con più forza in Africa.

 

4) Va peraltro debitamente considerato come, pur nel procedere contorto degli assetti geo-politici, già si concretizzino i primi effetti politici della spinta alla guerra, col costituirsi delle "democrature" in tantissimi Paesi. E assieme allo sviluppo istituzionale delle democrature (democrazie sul piano formale e tendenziali dittature sul piano sostanziale), assistiamo anche a un’impressionante crescita delle norme "securitarie" e del consenso di massa al vero e proprio neofascismo.

Basta dare un’occhiata anche superficiale alle vicende politiche dei Paesi che si autodefiniscono “democratici”, per accorgersi che un po’ ovunque si solidificano i dispositivi autoritari: attraverso specifiche leggi speciali sull’ordine pubblico, attraverso la cultura del plebiscitarismo e dell'uomo o della donna soli al comando, attraverso l’irreggimentazione dei media e delle reti di comunicazione. Nella nostra stessa Italia si sta determinando una profondissima linea di frattura rispetto agli assetti politici e istituzionali che c’erano fino a tre, quattro, cinque anni fa.

Chiarisco, a tal proposito, che quella che sta entrando in crisi non è la democrazia come la immagino e la vorrei io, collegata a dinamiche di uguaglianza, di autorganizzazione e di ampia partecipazione delle persone all'agorà, alla vita pubblica. L’idea di democrazia che ho a cuore poggia, infatti, sul nesso stringente di democrazia diretta e prospettiva socialista.

E tuttavia c’è grandissima differenza anche tra la democrazia liberale (col connesso “compromesso socialdemocratico”) e la democratura, che è un inestricabile intreccio istituzionale tra poche libertà condizionate o semplicemente enunciate (esistenti, cioè, sul piano della mera rappresentazione giuridica) e molte pratiche esplicitamente autoritarie sul piano dei concreti rapporti di potere. Di fatto, le democrature si rafforzano e si moltiplicano.

Fino a cinque, sei anni fa sembrava che le libertà democratiche fossero compresse soltanto in Stati di salda tradizione a-democratica e autoritaria (come, per esemplificare, la Turchia, la Russia o le Filippine); ma oggi gli assetti istituzionali all’insegna della democratura e del plebiscitarismo tendono a generalizzarsi, facilitati dall’uso spregiudicato delle tecnologie, per molti versi inquietanti, che si stanno sviluppando nell’ambito della rivoluzione informatica e robotica.

Si pensi, da ultimo, all’intelligenza artificiale, destinata a modificare ulteriormente non solo le produzioni e il lavoro, ma proprio l’immaginario, le coscienze e le relazioni civili e politiche.

 

5) C’è poco da questionare: un tempo nuovo impone risposte nuove anche a coloro che istintivamente vorrebbero un mondo più giusto e più umano. Ma questa, purtroppo, non è una consapevolezza scontata. Soprattutto non lo è in un’epoca contrassegnata dall'estrema difficoltà di far valere la prospettiva dei diritti civili e sociali; e, ancor più, di realizzarli.

Va da sé che non è facile andare avanti in compagnia delle sconfitte e delle delusioni. Non mi stupisco, perciò, che nelle stesse file degli attivisti abituati a schierarsi in difesa delle ragioni degli oppressi e degli sfruttati, e perfino tra coloro che più hanno alle spalle una prolungata dimestichezza con l’azione solidaristica e le lotte di emancipazione delle classi popolari, serpeggi insistentemente il sentimento della sconfitta e dell’impotenza. E so quanto possa essere forte, in particolare, la tentazione di “mettersi a riposo” senza neppure accorgersene, magari convincendosi che sia comunque bastevole la reiterazione, mezzo antiquaria e mezzo onirica, e più o meno online, delle improduttive “certezze del tempo antico”.

In Italia, ma non solo in Italia, la evidente stanchezza delle soggettività politiche che si richiamano agli ideali del comunismo e del socialismo (che sono ideali che non c’entrano nulla col cosiddetto “socialismo reale” e col “comunismo da caserma” dei regimi oppressivi costruitisi nel Novecento), come pure la oggettiva debolezza di chi continua comunque ad agire in difesa dei diritti dei lavoratori e delle fasce povere della società, sono fatti difficilmente contestabili. E però non si esce da questa debolezza con gli occhi rivolti al passato.

Senza tirarla troppo in lungo, io penso che serva poco o nulla, oggi come oggi, autodefinirsi anticapitalisti e propagandare con voci talvolta accorate e talvolta ostinatamente rabbiose, ma sempre più flebili, gli obiettivi storici della cultura anticapitalista. Serve cioè poco o nulla muoversi semplicemente attorno all’obiettivo e alla speranza di fare proselitismo e suscitare consenso agitando semplicemente le bandiere storiche dell’emancipazione delle classi oppresse. Quegli obiettivi e quella cultura occorre invece farli vivere praticamente, fuori dai ristretti recinti in cui sono confinati. Misurandosi col mondo di oggi, e non col mondo di ieri. Che semplicemente non c’è più.

 

6) Difatti, i temi che quest’epoca ci consegna non si possono affrontare con le formule tradizionali  del Movimento Operaio. Ovviamente, almeno per chi la pensa come me, Marx ed Engels, come pure il lungo ciclo di insorgenze socialiste e comuniste, o anche libertarie e anticoloniali del Novecento, fino a tutti gli anni Sessanta e Settanta, rappresentano tuttora un serbatoio straordinariamente vitale di riflessioni ed esperienze, da cui attingere. E io penso che bisognerebbe utilizzarla davvero al meglio quella storia, liberandola dalle molte imbalsamazioni improduttive e dalle troppe banalizzazioni e riduzioni.

Anzi, uno dei compiti che dovrebbero darsi coloro che tuttora intendono battersi per un futuro intrecciato di Pace, Libertà, Uguaglianza e Solidarietà è proprio di lavorare a una rilettura teorica del movimento operaio più ampia e veritiera di quanto non si sia fatto finora. Ma questo lavoro teorico bisognerebbe farlo sapendo che c'è una distanza storica reale: perché il tempo che ci tocca vivere non è lo stesso di cent’anni fa. E neppure di cinquant’anni fa.

Detto in estrema sintesi: una effettiva alternativa allo stato presente delle cose implicherebbe, nell’attuale tragico contesto, che l’emancipazione delle classi povere della società e la connessa liberazione della condizione umana dalle molte catene sociali, politiche e culturali che la imprigionano, riprendano il loro cammino storico  in strettissimo collegamento con l’iniziativa pacifista e antifascista. Partendo, cioè, proprio dalla mobilitazione contro l’avvicinarsi della guerra e contro il crescere delle logiche securitarie e fasciste.

Chi voglia agire davvero contro il capitalismo dovrebbe perciò caratterizzarsi con iniziative, ragionamenti e proposte non arroccate semplicemente sui propri ideali, sui propri programmi strategici e sulle proprie convinzioni storiche; e dovrebbe, invece, fattivamente operare per mettere assieme tutto ciò che può essere messo assieme. Ivi compresi coloro che in maniera contraddittoria (contraddittoria anche con la logica, se si vuole), ma in forme reali, e persino generose, intendono comunque porsi come argine al disastro. 

D’altronde è successo varie volte in passato, e succede tuttora in tante parti del mondo, che anche chi non abbia ripulsa per il capitalismo, ma coltivi una “semplice” avversione per il fascismo e per l’autoritarismo, si ritrovi perseguitato allo stesso modo dei comunisti e dei socialisti. 

 

7) Insomma, per come la vedo io, qui in Italia i tanti e le tante che si riconoscono nelle idealità sostanziali della Carta Costituzionale potrebbero, e dovrebbero, coordinarsi tra loro nell’attuale quadro italiano di accelerata regressione democratica: proprio per difendere i principi basilari della nostra Costituzione. E dovrebbero tradurre la sempre più urgente battaglia antifascista in una mobilitazione sociale ampia e inclusiva; che cammini unita, ma senza annullare per decreto le diversità di ispirazione dei diversi soggetti.

In un tale schieramento si ritroverebbero a proprio agio anche quelli, come me, che concepiscono la lotta antifascista in lineare legame con le lotte sociali; e che però vogliono anche contribuire a fare argine effettivo alle spinte antidemocratiche e autoritarie. Seppure in forme genericamente progressiste, e tali da potere essere tranquillamente assunti anche da chi non professi alcuna ostilità di principio verso il capitalismo, i primi dodici articoli della nostra Costituzione possono fungere, infatti, da apripista, da utile leva per creare un largo schieramento pacifista e antifascista. Che poi è quello che davvero serve.

E preciso che quando dico “schieramento” non intendo solo, e neppure principalmente, i soggetti organizzati, bensì proprio le  tantissime persone che si muovono, come singoli o in forma associata, sul terreno genericamente progressista della solidarietà e della democrazia formale.

Del resto, nei prossimi mesi uno schieramento di tale natura dovrebbe costituirsi davvero e impegnarsi su cinque referendum davvero decisivi. Decisivi non solo in sé ma anche nella battaglia complessiva contro la democratura italiana in gestazione.

Non ci sarà, purtroppo, per il diniego della Corte Costituzionale, il referendum contro l’autonomia regionale differenziata, che proprio qui nel Sud avrebbe più facilmente trovato il consenso necessario per raggiungere il quorum degli elettori. Restano però i quattro, tra loro intrecciati, a tutela del lavoro, e quello sui diritti di cittadinanza degli immigrati.

 

8) Io confido che quanti giudicano ingiusto l’attuale sistema sociale siano anche i primi a darsi da fare per sostenere la campagna referendaria: costruendo ovunque, campanile per campanile, comitati popolari larghi e camminando fianco a fianco con i militanti del sindacalismo di base e della sinistra di alternativa, come pure con gli iscritti alla CGIL e con persone che votano Cinque Stelle o che hanno in tasca la tessera del PD. E provando a coinvolgere fin da subito i tanti e le tante che non hanno tessere e che però potrebbero essere disponibili a sostenere una mobilitazione intrinsecamente giusta e politicamente opportuna.

Del resto, chi è marxista, chi è contro il capitalismo, dovrebbe sempre proporsi di agire nelle situazioni per come sono. Dovrebbe puntare sempre a percorsi realmente collettivi in avanti, che mettano la stessa critica al capitalismo nelle migliori condizioni di essere svolta. E la migliore delle condizioni, oggi come oggi, è proprio che si irrobustisca e si allarghi la linea di opinione dinamicamente attiva contro le tre forme politiche che il capitalismo ha assunto e intrecciato in questa fase storica: che sono, appunto, la democratura, la tendenza sempre più aperta al fascismo e la corsa sempre più spaventosa verso la catastrofe bellica.

In sostanza, chi ha una idea critica del capitalismo farebbe  bene a mantenerla e a esplicitarla, nelle dovute forme, anche nella mobilitazione referendaria. Ma la cosa che non dovrebbe assolutamente fare è di trasformarla in un fattore di divisione. E questo è un ammonimento che vale davvero per tutti. Per chiunque si renda conto come siano davvero in gioco i valori di libertà e solidarietà. 

Tutti e tutte, marxisti e non, dovremmo perciò capire davvero l'essenziale: e cioè che, nella vera e propria resistenza di civiltà cui siamo obbligati, anche le facce e le voci coi lineamenti cui non siamo abituati e le sonorità che non riconosciamo di primo acchito sono oggi assolutamente indispensabili. Servono, al pari di noi, per scongiurare il disastro.

 Febbraio 2025


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