CONTRO LA GUERRA: CHE FARE ORA?


Lo dico subito: per quanto il suo essenziale paradigma di riferimento non abbia convinto in modo ampio, e neppure sufficiente, ritengo che occorra proseguire lungo la via indicata, nelle elezioni europee, dalla lista PACE TERRA DIGNITÀ. Ma attenzione: non nel senso della continuità organizzativa di quella specifica lista di scopo, bensì nel senso dei contenuti da essa declinati nella campagna elettorale con l’alternativa “o pace o guerra” quale pilastro reale, e pre-condizione assoluta, di tutte le questioni politiche e sociali di questo drammatico passaggio storico. Insistere su questo punto, a me pare assolutamente decisivo; magari specificando meglio ciò che uscirebbe rafforzato dalla prospettiva della Pace: non solo l’affermazione di principio della vita sulla morte, ma anche la spinta alla salvaguardia dei beni comuni, la pressione per allargare gli spazi di equità sociale e la stessa mobilitazione per dare effettiva concretezza ai diritti di cittadinanza umana - dal lavoro al salario e dalle libertà collettive e individuali ai valori di solidarietà e uguaglianza.

Per dirla in breve: di fronte al crescere - evidente per chi abbia voglia e occhi per vedere - delle dinamiche di guerra già in corso; e in presenza di una sempre più rapida tendenza ad allargare i territori già in fiamme (cosa anch’essa evidente se si guardano le cose con la pazienza e la fatica necessaria), la dicotomia Pace/Guerra – che ha finora convinto poco in Italia, ed è stata sottaciuta negli altri Paesi europei – è destinata, se non a fare breccia, almeno a toccare con relativa ampiezza le coscienze. È destinata a smuovere più energie di quanto non abbia fatto finora: soprattutto se si consolida, nei singoli territori, l’iniziativa specifica contro la guerra e in difesa dei diritti di cittadinanza umana. 

Ma per far crescere l’iniziativa contro la guerra, a poco servirebbe – per come la vedo io - una dinamica puramente organizzativa attorno al simbolo di PACE TERRA DIGNITÀ. Anzi, a considerare bene le cose, non aiuterebbe affatto nella costruzione di ciò che davvero serve oggi. Sarebbe forse perfino controproducente. Intendiamoci: non che non sia opportuno mantenere in vita il reticolo sviluppatosi con la raccolta delle firme e poi nella campagna elettorale. Ma, per l’appunto, lo si dovrebbe intendere esattamente coi caratteri di un reticolo: ovvero nei termini di un agile coordinamento di comitati territoriali impegnati sul tema della Pace e sui temi politici e sociali a essa collegati. Non un Partito, dunque, un ennesimo piccolo Partito di sinistra, ma una rete programmaticamente aperta, disponibile a collegarsi con chiunque condivida l’urgenza e la necessità della lotta contro la guerra e l’impegno a difesa dei diritti di cittadinanza umana.  

Del resto i contenuti di PACE TERRA DIGNITÀ, seppure non con la stessa linearità e la stessa coerenza, hanno vissuto all'interno anche di altre proposte politico-elettorali; e comunque ora impongono, per la loro stessa importanza, un più ampio fronte di attivismo. Molto più ampio di quanto non sia stata l'attivazione attorno alla lista di Pace Terra Dignità; e certamente moltissimo più ampio di quanto si muoverebbe attorno a una nuova bandiera identitaria, quantanche motivata da buonissime intenzioni. Ciò non vuol dire – lo ripeto - che le donne e gli uomini che si sono espressi con mezzo milione di voti non facciano bene a coordinarsi fra loro e ripigliare, arricchendolo, il filo di ragionamento proposto nella campagna elettorale. Ma sbaglierebbero a coordinarsi recintandosi contro altri che pure potrebbero contribuire a una costruzione complessiva, territorialmente articolata, sui temi della pace e dei diritti di cittadinanza umana.

Va da sé che l’assunzione di una simile prospettiva comporterebbe anche il superamento delle dinamiche di verticalizzazione e centralizzazione dell'iniziativa. Il funzionamento verticale e centralizzato ha avuto un senso  nello scenario dell’urgenza ed è stato utile per far vivere la dicotomia PACE/GUERRA all'interno del dibattito elettorale; ma avrebbe pochissimo senso ora che si tratta di costruire un movimento generale nel Paese. La dinamica dal centro alle periferie e dall'alto verso il basso andrebbe perciò capovolta: è nei singoli territori che la questione si decide; ed è dai singoli territori che bisogna ripartire. In altre parole, io penso che sarebbe cosa buona e giusta dar vita a “coordinamenti territoriali per la pace e i diritti di cittadinanza umana”; che costruiscano iniziative, sviluppino la necessaria pedagogia politico-culturale sui drammi e le necessità di questo nostro tempo complicato, e che in concreto mettano assieme tutti e tutte coloro che vogliano impegnarsi in tale prospettiva. 

Occorrerebbe, cioè, avviare in ogni specifico territorio uno specifico coordinamento territoriale aperto a tutte e a tutti, e collegare progressivamente tali coordinamenti in una rete agile distesa a scala nazionale. In una dinamica di movimento e non di Partito; e con una logica di apertura e non di autodefinizione e recinzione delle forze. In breve, coloro che hanno costruito Pace Terra Dignità e coloro che l'hanno votata dovrebbero sentire oggi la responsabilità che hanno: che è, appunto, di andare oltre se stessi, proponendo a chiunque abbia a cuore la Pace, indipendentemente dalla tessera politico-sindacale eventualmente in tasca, di impegnarsi assieme per bloccare l'ingresso del nostro Paese nella guerra mondiale e dare un segnale anche fuori dall'Italia sulla possibilità di conseguire risultati attraverso la mobilitazione popolare. 

D’altronde Pace significa anche rimozione, quanto più possibile, delle sofferenze sociali. Pure nella nostra Italia opulenta cresce, infatti, la povertà, si accentuano le disuguaglianze, i beni comuni sono lasciati all’incuria e la cultura della solidarietà sbiadisce a vista d'occhio. Occorre però rendersi conto di un aspetto decisivo: in Italia le destre reazionarie e autoritarie non governano semplicemente le leve della macchina statale, ma si sono installate in posizione preminente anche nel modo di pensare  comune. Il razzismo e il fascismo sono stati cinicamente sdoganati nella comunicazione e nell'immaginario, e anzi tendono a egemonizzare i valori e i sentimenti di larghi settori della popolazione. Prima ancora che sul piano politico ed elettorale è perciò proprio sul piano culturale che va costruita la linea di tenuta sociale contro la reazione. E in questa direzione avrebbe senso anche una positiva risposta alla sollecitazione che viene da più parti all’unità d'azione, almeno sui valori di fondo, delle forze antifasciste. Le quali, nei primi 12 articoli della Costituzione – ovvero, nella Repubblica che ripudia la guerra e che rimuove gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza fra i cittadini -, potrebbero trovare una concreta e comprensibile base comune. 


Rino Malinconico

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