Cos'è il capitalismo oggi
INTERVISTA (del 2012) a Rino Malinconico
sul libro Teoria della Totalizzazione (ed. Melagrana, 3
voll., € 25.00)
D. Partiamo dalla frase di presentazione proposta dall'editore: un affresco potente e originale del capitalismo e delle sue contraddizioni. Perché quei due aggettivi?
R. Io credo che l'aggettivo “potente” si riferisca al
carattere di sistematicità del libro. La gran parte dei saggi che vengono oggi pubblicati
propongono approfondimenti circoscritti; e se si spingono su orizzonti di
carattere generale, lo fanno con un taglio non analitico ma da opinionisti. Qui
è invece proposta una rappresentazione complessiva del capitalismo e delle sue
modalità di funzionamento, della sua forza e della sua debolezza. Quanto al
secondo aggettivo ritengo che il lettore potrà accoglierlo come veritiero fin
dalle prime pagine: questa specifica narrazione del capitalismo è diversa non
solo rispetto al quadro che ne danno gli economisti, i quali assumono il
capitalismo come assetto sociale in sé razionale e fondamentalmente “giusto”,
benché esposto a possibili degenerazioni; ma è diversa anche dalla descrizione
che ne fanno i critici del capitalismo, di ascendenza culturale marxista, o
anche anarchica, i quali hanno difficoltà a vedere i tratti nuovi del
capitalismo contemporaneo rispetto a quello dell'Ottocento e di buona parte del
Novecento.
D. Il libro parla, infatti, di una terza fase della vita
del capitalismo, la fase della
totalizzazione, dopo l'età della concorrenza e l'età dei monopoli...
R. Sì. La totalizzazione del rapporto sociale di
capitale è un processo arrivato a pieno compimento negli ultimi cinquanta,
sessant’anni. Se dovessi sintetizzarla in una battuta, la totalizzazione è la irreggimentazione
sociale del lavoro e dei tempi di vita delle persone e, contemporaneamente, la
costruzione della valorizzazione degli investimenti sulla base della potenza
degli agenti che vengono messi in moto nel tempo di lavoro e non più sulla base
del semplice tempo di lavoro in sé. Questa nuova strutturazione del
capitalismo ha inoltre conseguenze gigantesche nella composizione sociale,
nella definizione delle gerarchie internazionali, nella coscienza delle persone
e, soprattutto, nella loro vita quotidiana. Il capitalismo è diventato una compiuta
dinamica sociale soltanto ora; e solo ora è capace di organizzare davvero l'intera
società. Beninteso: la organizza e, contemporaneamente, moltiplica e
approfondisce le fratture al suo interno, tra l’alto e il basso della piramide
sociale, tra le diverse aree del mondo e tra i singoli Paesi. Il capitalismo, cioè, produce inevitabilmente miseria, degrado dell'ambiente naturale e guerre propriamente guerreggiate,,,
D. Ma il carattere pienamente sociale del capitalismo
non comporta anche una sorta di anacronismo della appropriazione privata della
ricchezza e della stessa proprietà privata?
R. Fino a un certo punto. L'iniziativa privata costituisce
l'elemento specificamente dinamico nel formarsi delle relazioni di sistema. È difficile
che il capitalismo possa farne a meno. Tuttavia è vero che la questione della
proprietà è oggi assolutamente secondaria. Una volta si poteva tranquillamente
dire che i capitalisti sono quelli che possiedono il capitale. Oggi è il
capitale che possiede i capitalisti: pressoché con l'identica forza con cui
possiede i lavoratori e le persone in genere. Il capitale è un sistema di
relazioni sociali e procede in modo impersonale. Il suo obiettivo non è di
arricchire qualcuno ma di crescere ulteriormente come sistema sociale.
D. È questo un modo abbastanza inconsueto di vedere le
cose...
R. Mi permetto di dire che è anche il modo di recuperare
la sostanza dell'elaborazione teorica di Marx. Soprattutto è una visione
critica del capitalismo sul punto essenziale, e cioè sulla contraddizione fra
questo sistema di relazioni sociali e l’aspirazione degli esseri umani a
costruirsi umanamente in modo sempre più compiuto.
D. Non si rischia però, un discorso tutto ideologico,
che non interviene sulle contraddizioni interne al capitalismo?
R. Tutt’altro. La teoria della totalizzazione mette in
luce proprio le contraddizioni molteplici che ci sono all'interno della società
capitalistica. Per dirne una, c’è in tutto il libro un continuo riferimento alla
tendenza del rapporto sociale di capitale di camminare oggi per cicli brevissimi
di sviluppo e cicli altrettanto brevi di crisi economica, potenziando e
allargando, in entrambi i momenti, la precarietà sociale ed esistenziale.
D’altra parte, proprio l’inevitabilità delle contraddizioni interne al sistema apre
alla possibilità del cambiamento. Non a caso l’oggetto del libro non è solo “il
capitalismo”, ma anche il “suo possibile superamento”. Il punto è che le
debolezze del sistema non producono da sole nessun mondo nuovo; domandano sempre
un intervento attivo. Ma una cosa è battersi, ad esempio, per regolamentare i
flussi finanziari dentro un orizzonte di critica della logica del profitto e
delle relazioni sociali mercificate; ben altra cosa è richiedere regole e controlli
finanziari sul presupposto che la finanza sia grossomodo una degenerazione del
capitalismo, una sua malattia, la malattia di un corpo sano sulla quale
intervenire con cure appropriate. Nel primo caso si porteranno avanti obiettivi
certamente parziali, ma dentro un percorso che allude al possibile rovesciamento
delle relazioni umane costruite sotto l'egida della “valorizzazione”; e quindi
proponendo un nuovo assetto sociale, incentrato sui diritti, sui bisogni e
sulla piena cittadinanza umana. Nel secondo caso, invece, indicando come
decisiva la battaglia sulla mancanza di controlli e regole si esalta
semplicemente la bontà del capitalismo e dei rapporti sociali edificati sul “valore”.
In sostanza, si piegano le classi popolari, e cioè la stragrande maggioranza
della popolazione, a muoversi senza rimedio nel quadro di una società malata in
partenza, che vive esattamente delle sue stesse malattie. L’essenza del
capitalismo, infatti, risiede proprio nelle dinamiche di squilibrio e crisi, le
quali, lasciate alla loro spontaneità - senza cioè una forte pressione sociale finalizzata
a sostituire i valori d’uso ai valori di scambio e le persone concrete alle
pure funzioni economiche – rafforzeranno continuamente le ragioni medesime del sistema.
D. Tu dici, in sostanza, che al di là della finanza e
delle crisi economiche il tema decisivo resta lo sfruttamento “normale” del
lavoro.
R. Non solo lo sfruttamento del lavoro, ma l’irreggimentazione
dell'intero vivere sociale. È la costruzione dell’esistenza alienata la vera
molla del capitalismo.
D. Di sicuro questo libro, che si presenta in tre
volumi, per un totale di circa 1300 pagine, è un lavoro ambizioso. Ma pensi che
ci sia davvero un uditorio attento, che risponda a questo tuo impegnativo sforzo
di analisi e proposta?
R. Penso di sì. Mi auguro di sì. So bene che un libro
del genere, articolato in tre parti - il capitale come rapporto sociale, la
costruzione del valore e il sistema come squilibrio e crisi -, non si legge tutto
d'un fiato; e forse neppure si legge andando in ordine dalla prima all'ultima
pagina. Del resto, è diviso in sezioni, sono nove sezioni, e il lettore può
anche cominciare da quella che più lo interessa. Le tematiche si muovono comunque
in modo concentrico, e i fili si riannodano e si tengono insieme.
D. Ma a chi ti rivolgi specificamente? Ai militanti di
sinistra?
R. Indubbiamente i lettori “naturali” di un
libro del genere sono coloro che, nonostante tutto, non vogliono sentirsi
riappacificati col capitalismo. Ma ritengo che possa essere una occasione utile
anche per tutti quelli che, pur non essendo particolarmente inclini a criticare
il sistema capitalistico, continuano comunque a interrogarsi sulla società
umana e sui suoi destini.
Grazie Alessandro per le tue riflessioni. Il riferimento ai francofortesi non è del tutto esatto. Per cogliere l'intenzione di fondo di Officina - muoversi con Marx ma dopo Marx - occorre mettere al centro anzitutto le relazioni capitalistiche, ovvero proprio le dinamiche di costruzione reale del valore nella fase della "totalizzazione".
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