Papa Francesco e la condizione umana
di Rino Malinconico
Tutti sappiamo che la Chiesa cattolica è stata, e continua ed essere, una delle forze decisive della Storia umana. Lo è ininterrottamente da quasi duemila anni. E non credo di esagerare, a tal proposito, se sottolineo come abbia spesso contribuito a costruire la Storia degli esseri umani in stridente contraddizione coi valori evangelici di fratellanza universale e di sollecitudine verso le sofferenze materiali e spirituali dei poveri e degli oppressi.
Ma ovviamente non sono neppure mancate le occasioni che hanno visto la Chiesa in parziale sintonia col messaggio di amore e compartecipazione del cristianesimo delle origini. E proprio con Papa Francesco questa sintonia è stata più visibilmente forte e coerente.
In una delle epoche più buie e drammatiche della Modernità - tra pandemie, guerre, miserie, devastazioni ambientali e sofferenze materiali e morali -, Francesco ha testardamente cercato di trasformare il Soglio di Pietro in un fondamentale e universale Presidio di Umanità. Le sue parole, i suoi atti, i suoi gesti, i suoi pellegrinaggi, i suoi abbracci sono stati il più luminoso punto di luce nelle tenebre di questo nostro tempo livido.
La sua scomparsa si configura perciò come un obiettivo passaggio di fase. E non trovo affatto sorprendente che se ne discuta in tutti gli ambienti, anche in ambienti piuttosto lontani dalle pratiche e dai riti religiosi.
Orbene, in stretto riferimento a come, più o meno a caldo, si sia finora discusso della scomparsa di Papa Francesco nel mondo eminentemente laico della sinistra italiana, e in particolate nelle file della sinistra politica e sociale "di alternativa" (ridotta ormai, ahimé, a un recinto sempre più piccolo e autoreferenziale), mi permetto di sottolineare due cose:
1) Il pontificato di Papa Francesco, e ora la sua scomparsa, sono eventi propriamente storici. E se si parla di lui senza farsi sorreggere dal senso della storia, qualunque cosa si dica sarà priva di vera sostanza. Il suo pontificato, infatti, ha segnato in profondità - nelle coscienze di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, cattolici e di altre fedi, credenti e non - la percezione umana delle vicende, dei nodi e delle criticità del nostro tempo. E la sua voce ha sintetizzato, più e meglio di qualsiasi altra, l'anelito umano della speranza in un mondo migliore e più giusto.
Non è un caso che centinaia di milioni di persone vivano la sua scomparsa con dolore e con timore. Sia pur confusamente, si percepisce un reale vuoto storico, quasi l'aprirsi brusco di una fase di rinnovata difficoltà della speranza, che potrebbe drammaticamente indietreggiare anche per il venir meno di quella sua voce ferma davanti al crescere della guerra mondiale a pezzi, delle oppressioni, delle disuguaglianze e delle povertà;
2) Il pontificato di Papa Francesco è stato profondamente innovativo anche sul piano dei contenuti teologici. Le sue encicliche "Laudato sii" e "Fratelli tutti" hanno grandemente allargato la visione teologica tradizionale della condizione umana e del cosmpolitismo della Ecumene. Sono questioni che attraversano e interrogano seriamente non solo i credenti ma anche chi credente non è. Chiunque ragioni laicamente sul senso dell'esistere può ricavare da quelle riflessioni stimoli per approfondire i temi dell'antropologia filosofica. E se alcuni capitoli, come "l'economia del dono" e la "cura della natura", non sono una novità, ed esistono, peraltro, anche nella tradizione culturale del Movimento operaio, quantomeno nelle sue correnti "eretiche", altri paradigmi teoretici li trovo sorprendentemente nuovi.
Ad esempio, a me (che ho una cultura radicalmente antropocentrica e lontana in partenza da qualsivoglia suggestione teocentrica) colpisce molto il discorso di Papa Francesco sullo "scarto" e sulla critica della società e della cultura che producono con indifferenza gli scarti e vi comprendono, come condizione inevitabile, esseri umani e cose. È un qualcosa che nella mia cultura marxiana semplicemente non viene affrontato. O almeno: non viene affrontato con la centralità che i nostri tempi richiederebbero.
Riflessioni profonde le tue, caro Alessandro. Che forse, ma non è importante, potrei condividere nella sostanza, sulla scia del concetto hegeliano di "totalità" (io che è tu che è noi che è dio che è tutto). Ti ringrazio per ciò che hai scritto. Un abbraccio.
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