QUESTO NOSTRO TEMPO COSÌ SEGNATO DAL NICHILISMO


Recensione di Aporia del moderno. Saggio sul nichilismo di Rino Malinconico

di Ivan Mosca 


Cos’hanno in comune i giacobini, Sartre e Sade? Per comprenderlo bisogna leggere Aporia del moderno. Saggio sul nichilismo, l’ultimo lavoro di Rino Malinconico uscito per i tipi delle Edizioni Melagrana, casa editrice di Caserta connessa a un’associazione no-profit che si occupa di disagio ed esclusione sociale nell’ambito della promozione di una cultura della pace. 

Il saggio di Malinconico si concentra sul nichilismo inteso come tratto culturale di un’epoca che ha gettato le basi dell’esistenzialismo e del postmoderno, ai quali il filosofo napoletano dedicherà i prossimi volumi di una trilogia in lavorazione. La nozione di nichilismo viene analizzata attraverso autori trasversali e fenomeni storici che Malinconico interpreta come figure di una dialettica interna alla modernità. Non mancano i riferimenti alla filosofia tedesca, con Nietzsche, Spengler e Jünger interpretati alla luce del pensiero di Hegel, Marx e Adorno, che in ogni caso si stagliano sullo sfondo di un ampio bagaglio di cultura francese. A partire da tale enciclopedia di riferimento, il nichilismo viene definito come il primo dei “falsi movimenti” che l’Ancien Règime ha sviluppato in reazione alla modernità. Potremmo dire che la nostra epoca si fondi sul rovesciamento morale di un presupposto sostanzialmente cristiano, secondo il quale la natura umana sarebbe egoistica. Questa tendenza all’egoismo viene infatti declinata dalla modernità come moralmente positiva ed economicamente produttiva, e ciò sebbene dal XVII secolo la ragione non venga più interpretata come manifestazione divina, bensì come espressione dell’essenza umana, intesa non solo come relazione sociale ma soprattutto come realizzazione individuale. Il che, fa notare l’autore, apre una vera e propria aporia, ossia una contraddizione irrisolvibile tra la promessa di realizzazione della soggettività tipica della modernità e l’incipiente spersonalizzazione della civiltà capitalista, culminante nell’alienazione di fabbrica e del lavoro in genere. Tale aporia, sostiene Malinconico, si è accompagnata a correnti culturali che hanno radicalizzato alcuni dei tratti fondamentali della modernità, portandoli alle estreme conseguenze dell’esaltazione dell’irrazionalità e del particolarismo. 

La prima di tali correnti è proprio il nichilismo, il quale presume di portare a compimento la realizzazione della soggettività moderna declinandola in senso puramente individuale. Ma al fine di portare a compimento la propria essenza, il soggetto nichilista si ritrova a negare ogni oggettività, soprattutto quella sociale; e l’alterità viene da lui interpretata come un non-Io che limita l’Io individuale, il che spinge i nichilisti a sostenerne l’annichilimento. Ridefinendo il disincanto operato dall’Illuminismo come assenza di senso, il nichilismo di volta in volta equipara l’essere al non essere, il bene al male, l’azione alla passività, annullando proprio la realtà e la verità che la modernità avrebbe voluto affermare. Il risultato è l’esaltazione dell’immoralità e dell’isolamento solipsistico: la distruzione dell’Altro operata al fine della conquista di uno spazio vitale porta il singolo alla solitudine totale e infine all’autodistruzione, che il nichilismo concepisce come radicale espressione di libertà.

In modo decisamente originale, Malinconico fa notare che il tentativo di liberazione totale operato dal nichilismo è stato talvolta interpretato in senso emancipatorio da parte del pensiero progressista. È il caso del sadismo, che una certa cultura francese ha appunto inteso in termini quasi progressisti: sulla linea di Fourier, De Beauvoir e Foucault, il soggetto offeso, in primo luogo quello delle minoranze sessuali, si emancipa attraverso la liberazione del desiderio. E tuttavia, fa notare l’autore, l’espressione dell’Io represso si pone comunque, nel sadismo, in termini nichilisti in quanto porta alla luce i mostri generati dal sonno della ragione: la libertà che emerge negli scritti di Sade risulta essere un’estremizzazione dell’idea che ne hanno i moderni, ossia quella di una libertà negativa, finalizzata alla pura realizzazione del desiderio e all’esercizio del potere. L’interpretazione esistenzialista del sadismo mostra pertanto una profonda influenza nichilista, rilevabile ad esempio nella concezione dell’alterità come limite invalicabile della soggettività individuale: “l’inferno sono gli altri”, scriveva Sartre. La radicalizzazione di questo modello di libertà è anzi coincidente con la morale dei signori propria dell’Ancien Règime, alla quale, almeno in linea di principio, si oppone la libertà illuminista legata alla scelta e quindi al senso di responsabilità. 

L’espressione della soggettività repressa ha certamente liberato l’eros produttivo ma ha anche liberato la corrispondente pulsione del thanatos distruttivo. In tal senso, la lettura politica del sadismo operata dal Pasolini di “Salò ovvero Le 120 giornate di Sodoma” risulta decisamente più calzante dell’interpretazione meramente individualistica offerta dalla filosofia francese del secolo scorso. Uno dei meriti principali del saggio di Malinconico, in effetti, è quello di mettere in relazione l’analisi del nichilismo individualistico con quella dal nichilismo come prassi politica. La copertina del volume, non a caso, ritrae i personaggi del noto dramma teatrale di Peter Weiss intitolato “Marat / Sade”, nel quale viene messa in scena la dialettica tra il nichilismo distruttivo del sadismo e il nichilismo produttivo del giacobinismo. I due fenomeni non vanno confusi: applicando il rasoio di Occam all’ambito politico, la ghigliottina risulta certamente un elemento nichilistico del giacobinismo, ma questo non fa della Rivoluzione un processo nel suo complesso distruttivo. La componente distruttiva del giacobinismo, ossia il grande terrore che accompagnò il momento centrale della Rivoluzione francese, va certamente compresa come antitesi negativa della dialettica di emancipazione politica, ma anche come un momento necessario al rinnovamento, da superare e nel quale non rimanere intrappolati. 

Se la Rivoluzione francese affermava i valori della modernità, il nichilismo invece vi reagisce opponendo gli uni agli altri: uguaglianza e fratellanza vengono infatti interpretati dai nichilisti, Nietzsche in testa, come ostacoli alla pura libertà. La perversione nichilistica è quindi un tentativo di arrestare il processo complessivo della Rivoluzione operata dalla modernità, portandone a estreme conseguenze solo alcuni dei suoi presupposti, in modo da disinnescare gli altri. Attraverso l’estremizzazione della critica al Positivismo e all’Illuminismo operata dalla scuola del sospetto, il nichilismo cerca di recuperare i valori che i nostalgici dell’Ancien Règime temevano di aver perduto per sempre a seguito dell’età delle rivoluzioni scientifiche e politiche. 

Il conservatorismo nichilista, tuttavia, non si è sempre dichiarato in quanto tale, salvo confluire in prassi politiche chiaramente attribuibili alla reazione più estrema. Se nell’Ottocento la negazione della ragione era ancora operata da teorie che, presentando se stesse come antifilosofiche, si inscrivevano in un quadro di riferimento progressista, quali l’individualismo anarchico di Stirner, il populismo russo o l’anarcosindacalismo di Sorel, nel Novecento il nichilismo politico si è saldamente legato a fenomeni dichiaratamente estremi come il terrorismo e il totalitarismo. In tal senso, l’agente reazionario nichilista ha dapprima criticato e poi esaltato la tecnica in quanto mera estensione dell’Io e strumento di libertà totale, sia intendendola come arte rappresentativa che come progettazione funzionale. 

Le due istanze della tecnica, in effetti, si integrano: l’espressione individualistica dell’arte nichilista opera un ripiegamento intimistico che, potenziando l’Io, indebolisce la collettività e prepara il terreno per la civiltà delle macchine. E l’atteggiamento individuale che Heidegger definisce zuhanden porta direttamente al trionfo della ragione strumentale analizzato dalla scuola di Francoforte. Seguendo questa linea interpretativa, la piena attuazione tecnica del nichilismo può infatti essere individuata nella Seconda guerra mondiale e, in particolare, nei campi di sterminio, che combinano i fini irrazionali del ritorno alla natura e del trionfo della razza con i mezzi perfettamente razionali della tecnica, dell’eugenetica e della burocrazia. 

In conclusione, ci sentiamo di consigliare caldamente la lettura che Malinconico opera del nichilismo, riepilogandone le caratteristiche e gli autori principali, ma anche offrendo un taglio interpretativo originale e focalizzato su temi inaspettati, come il sadismo e il giacobinismo, utili tanto alla ricostruzione storica che alla comprensione del presente. In tal senso, sull’onda della lettura del saggio, sentiamo di poter affermare che il nichilismo non si sia affatto suicidato in un bunker, al centro di una Berlino rasa al suolo, ma sia anzi possibile ritrovarlo nella bomba atomica su Hiroshima e nelle varie correnti di pensiero contemporanee che ripropongono, in modo particolarmente nichilistico, il ritorno a valori gerarchici tipici dell’Ancien Règime, sotto le mentite spoglie della meritocrazia tecnocratica, del transumanesimo, del neofeudalesimo californiano e dell’astio sciovinista degli incel.

Commenti

Post popolari in questo blog

Papa Francesco e la condizione umana