LA RIVISTA OFFICINA E LA TEORIA DELLA TOTALIZZAZIONE

NOTA PER IL LETTORE  - da "Teoria della Totalizzazione" - Edizioni Melagrana 2012

    La teoria della totalizzazione è stata affacciata per la prima volta dalla rivista Officina, edita a Napoli sul finire degli anni ‘80. Il presente libro piglia le mosse esattamente da quella elaborazione, ed anzi ne costituisce un prosieguo naturale. Di più: alcune parti di questo lavoro riadattano semplicemente taluni miei saggi apparsi, senza firma, su quelle pagine; e, per altre parti, mi dichiaro apertamente in debito con l’insieme del gruppo di Officina. Più in generale la teoria della totalizzazione nacque proprio da un lavoro collettivo, da un bell’esempio, per dirla con Sartre, di “gruppo in fusione”, dove gli apporti dei singoli diventavano subi to patrimonio comune e spingevano altri a portare più avanti i concetti. Non a caso, nella rivista non c’erano scritti firmati. Articoli e saggi venivano vissuti, e largamente lo erano, come lavoro “di tutti”.

   Il collettivo redazionale di Officina era costituito, in realtà, da un gruppo piuttosto largo di militanti politici della nuova sinistra, formatisi, nel loro nucleo più esperto, all’interno del lungo Sessantotto italiano. Essi si impegnarono in una elaborazione programmaticamente indirizzata a ritessere i fili della critica della economia politica. Non erano teorici di professione (come non lo sono io, che pure ebbi parte attiva in quella esperienza). Anzi, la teoria che Officina cercava di costruire veniva continuamente “interrotta” da una pratica politica fatta di lotte sociali, lotte studentesche, lotte operaie. I disoccupati organizzati, gli occupanti di casa, il movimento studentesco della “pantera”, le resistenze operaie nelle principali fabbriche della città di Napoli e del suo hinterland intersecarono in vario modo e con varia forza l’attività della rivista. A sua volta, l’elaborazione teorica di Officina si intrecciò coi tentativi sviluppatisi all’inizio degli anni ‘90 in Italia in direzione del cosiddetto “sindacalismo di base”. La esperienza dei Cobas, in particolare del settore industriale, tanto in Campania che nel resto d’Italia, trovava non solo spazio sulla rivista, ma dalla rivista ripigliava anche taluni spunti, tesi a rafforzare specificamente la cultura innovativa di cui, almeno in quel periodo iniziale, l’intero sindacalismo di base sembrava farsi portatore.

   Le tesi sul “sindacato di tipo nuovo” in contrapposizione alla semplice proposta di un nuovo sindacato; le tesi sullo scontro sindacale come scontro immediatamente politico, allusivo di un altro modello di società e spontaneamente connesso alla critica della merce; le tesi sulla moderna lotta di classe come conflitto sui nodi della cittadinanza umana, ovvero come un conflitto agito sulla frontiera dei contenuti della persona prima ancora dei contenuti del lavoratore o del proletario in senso classico, incentrato sui punti cruciali del corpo, degli affetti, della cultura e della natura; le stesse tesi sull’intreccio sempre più stretto tra la critica complessiva degli assetti sociali capitalistici e le rivendicazioni tradizionali sul salario, l’orario, le mansioni, la nocività: tutto questo aveva molto a che vedere proprio con l’elaborazione di quella rivista e con le sue principali coordinate di riferimento, che erano, appunto, la teoria della totalizzazione e l’opzione culturale anti- positivista, vale a dire l’opzione per una cultura nettamente contrapposta a tutte le logiche riformiste e “sviluppiste” del movimento operaio. Sul piano più propriamente politico, Officina si caratterizzava anche per il tentativo generoso di recuperare l’insieme dei filoni eretici del marxismo del ‘900.

   Della produzione di Officina si possono dare, ovviamente, giudizi assai variegati. E ciascuno potrebbe legittimamente proporre considerazioni molto critiche sul valore e sull’interesse dei temi trattati. Resta fuor di dubbio, però, l’originalità del tentativo, di un tentativo che faceva della critica dell’economia politica e, contemporaneamente, della critica della politica, finanche della politica più consolidata del movimento operaio, le leve di una specifica iniziativa teorica e  pratica assieme, che non a caso ha intrecciato, nella sua breve stagione, tutte le dinamiche di movimento più significative. Officina è stata, d’altronde, anche una scuola di formazione per un gruppo di militanti che ha poi proseguito in varie forme (ma, tutto sommato, con apprezzabile coerenza) l’impegno a sinistra.

   La teoria della totalizzazione costituisce, dunque, assieme alla ripresa del marxismo eretico, il lascito più significativo di Officina. Tuttavia, quella teoria non fu sviluppata in modo organico dalla rivista. E rimase, soprattutto, patrimonio di un ambito troppo ristretto. Qua e là, negli anni successivi, si potranno leggere, nei documenti del sindacalismo di base o dei partiti della sinistra radicale, espressioni che riecheggiano, a volta anche in modo letterale, gli articoli e i saggi apparsi sulla rivista; ma nel complesso le tesi di Officina sono rimaste largamente marginali nel dibattito a sinistra. Gli stessi militanti del collettivo redazionale sono stati conosciuti più come esponenti dei movimenti di lotta e del conflitto sociale, anziché come portatori di una teoria innovativa nell’ambito del marxismo.

   Le presenti pagine si propongono, nei limiti delle forze dell’autore, di rimediare alla disorganicità della elaborazione di allora. Si propongono anche di saldare i conti (nei limiti della fortuna editoriale – ahimè, quanto problematica! - che un libro su questi temi può incontrare nel mondo di oggi) con la sostanziale ingenerosità dell’attuale dibattito teorico sul marxismo, il quale oscilla improduttivamente tra la mera ripetitività scolastica e l’accantonamento pregiudiziale dello stesso Marx.

   Forse quella elaborazione misconosciuta di quasi un quarto di secolo fa, ampliata e proposta qui in forma organica e completa, potrebbe dire qualcosa di nuovo a coloro che, nonostante tutto, non vogliono sentirsi riappacificati col capitalismo. E forse potrebbe risultare una lettura utile anche per tutti quelli che semplicemente continuano ad interrogarsi sulla società umana e i suoi destini.

L’autore (Rino malinconico)


Commenti

Post popolari in questo blog

L'EUROPA DEL RISENTIMENTO