LA RIVISTA OFFICINA E LA TEORIA DELLA TOTALIZZAZIONE
NOTA PER IL LETTORE - da "Teoria della Totalizzazione" - Edizioni Melagrana 2012
Il collettivo redazionale di Officina era costituito, in realtà, da
un gruppo piuttosto largo di militanti politici della nuova sinistra,
formatisi, nel loro nucleo più esperto, all’interno del lungo Sessantotto
italiano. Essi si impegnarono in una elaborazione programmaticamente
indirizzata a ritessere i fili della critica della economia politica. Non erano
teorici di professione (come non lo sono io, che pure ebbi parte attiva in
quella esperienza). Anzi, la teoria che Officina
cercava di costruire veniva continuamente “interrotta” da una pratica politica
fatta di lotte sociali, lotte studentesche, lotte operaie. I disoccupati
organizzati, gli occupanti di casa, il movimento studentesco della “pantera”,
le resistenze operaie nelle principali fabbriche della città di Napoli e del
suo hinterland intersecarono in vario modo e con varia forza l’attività della
rivista. A sua volta, l’elaborazione teorica di Officina si intrecciò coi tentativi sviluppatisi all’inizio degli
anni ‘
Le tesi sul “sindacato di tipo nuovo” in
contrapposizione alla semplice proposta di un nuovo sindacato; le tesi sullo
scontro sindacale come scontro immediatamente politico, allusivo di un altro
modello di società e spontaneamente connesso alla critica della merce; le tesi
sulla moderna lotta di classe come conflitto sui nodi della cittadinanza umana,
ovvero come un conflitto agito sulla frontiera dei contenuti della persona
prima ancora dei contenuti del lavoratore o del proletario in senso classico,
incentrato sui punti cruciali del corpo, degli affetti, della cultura e della
natura; le stesse tesi sull’intreccio sempre più stretto tra la critica
complessiva degli assetti sociali capitalistici e le rivendicazioni
tradizionali sul salario, l’orario, le mansioni, la nocività: tutto questo
aveva molto a che vedere proprio con l’elaborazione di quella rivista e con le
sue principali coordinate di riferimento, che erano, appunto, la teoria della
totalizzazione e l’opzione culturale anti- positivista, vale a dire l’opzione
per una cultura nettamente contrapposta a tutte le logiche riformiste e
“sviluppiste” del movimento operaio. Sul piano più propriamente politico, Officina si caratterizzava anche per il
tentativo generoso di recuperare l’insieme dei filoni eretici del marxismo del
‘900.
Della produzione di Officina si possono dare, ovviamente, giudizi assai variegati. E
ciascuno potrebbe legittimamente proporre considerazioni molto critiche sul
valore e sull’interesse dei temi trattati. Resta fuor di dubbio, però,
l’originalità del tentativo, di un tentativo che faceva della critica
dell’economia politica e, contemporaneamente, della critica della politica,
finanche della politica più consolidata del movimento operaio, le leve di una specifica
iniziativa teorica e pratica assieme,
che non a caso ha intrecciato, nella sua breve stagione, tutte le dinamiche di
movimento più significative. Officina
è stata, d’altronde, anche una scuola di formazione per un gruppo di militanti
che ha poi proseguito in varie forme (ma, tutto sommato, con apprezzabile
coerenza) l’impegno a sinistra.
La teoria della totalizzazione costituisce,
dunque, assieme alla ripresa del marxismo eretico, il lascito più significativo
di Officina. Tuttavia, quella teoria
non fu sviluppata in modo organico dalla rivista. E rimase, soprattutto,
patrimonio di un ambito troppo ristretto. Qua e là, negli anni successivi, si
potranno leggere, nei documenti del sindacalismo di base o dei partiti della sinistra
radicale, espressioni che riecheggiano, a volta anche in modo letterale, gli
articoli e i saggi apparsi sulla rivista; ma nel complesso le tesi di Officina sono rimaste largamente
marginali nel dibattito a sinistra. Gli stessi militanti del collettivo
redazionale sono stati conosciuti più come esponenti dei movimenti di lotta e
del conflitto sociale, anziché come portatori di una teoria innovativa nell’ambito
del marxismo.
Le presenti pagine si propongono, nei limiti
delle forze dell’autore, di rimediare alla disorganicità della elaborazione di
allora. Si propongono anche di saldare i conti (nei limiti della fortuna
editoriale – ahimè, quanto problematica! - che un libro su questi temi può
incontrare nel mondo di oggi) con la sostanziale ingenerosità dell’attuale
dibattito teorico sul marxismo, il quale oscilla improduttivamente tra la mera
ripetitività scolastica e l’accantonamento pregiudiziale dello stesso Marx.
Forse quella elaborazione misconosciuta di quasi un quarto di secolo fa, ampliata e proposta qui in forma organica e completa, potrebbe dire qualcosa di nuovo a coloro che, nonostante tutto, non vogliono sentirsi riappacificati col capitalismo. E forse potrebbe risultare una lettura utile anche per tutti quelli che semplicemente continuano ad interrogarsi sulla società umana e i suoi destini.
L’autore (Rino malinconico)
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