PER AMORE DI VERITÀ
La prima cosa da evitare, a proposito delle recenti elezioni europee in Italia, è di perdere tempo con le percentuali. Ora più che mai valgono i voti assoluti, perché con una riduzione così consistente di persone ai seggi le percentuali divengono quantomai falsanti. Fratelli d'Italia, ad esempio, avanza di ben tre punti percentuali rispetto alle politiche del settembre 2022 (passa da 25,98% a 28,81%), ma in effetti ha avuto circa 600.000 voti in meno rispetto a un anno e 9 mesi fa. Resta indubbiamente il partito più votato, e la Presidente del Consiglio può legittimamente dirsi soddisfatta; nondimeno è un fatto che i suoi 6milioni e 704mila voti di adesso pesano molto meno dei 7milioni e 301mila voti delle scorse elezioni politiche. D’altra parte, ancora più consistente è il calo dei 5S, che franano rumorosamente già in percentuale (da 15,43% a 9,99%), ma registrano un autentico crollo proprio in termini di v8oti assoluti, dimezzando quasi i consensi (da 4milioni e 330mila passano a 2milioni e 320mila circa).
Ovviamente i partiti tralasciano spensieratamente i voti assoluti e invitano i cittadini, e i giornalisti sono quasi tutti d'accordo con loro, a guardare le percentuali, e solo le percentuali. E magari si sentono anche perfettamente nel giusto: perché – ci spiegano, scambiando di posto la causa con l’effetto – proprio la riduzione dell’elettorato provocherebbe automaticamente la riduzione dei voti assoluti. Presumono, cioè, di spiegare con la pura matematica un qualcosa che invece richiede spiegazioni politiche e storiche. In sostanza: è esattamente la perdita di voti dei partiti – ovvero la diminuzione della loro capacità di mobilitare l’elettorato – a determinare la diminuzione dei votanti ai seggi. E non il contrario …
Se dunque guardiamo, come correttamente si dovrebbe fare, ai voti assoluti, diviene chiaro che solo due formazioni hanno fatto dei passi in avanti rispetto alle politiche di un anno e nove mesi fa: il PD, che cresce di poco più di 250mila voti, e l’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana, che incrementa i propri consensi di circa 540mila voti. Ma, in verità, a queste due liste andrebbe aggiunta anche la lista di PACE TERRA DIGNITÀ.
PTD è una lista nuova, caratterizzata dal No alla guerra, e a rigore non se ne dovrebbero fare di paragoni con le politiche. Tuttavia l’insieme dei suoi contenuti programmatici e il profilo politico della sua campagna elettorale può legittimare, entro determinati limiti, una collocazione di obiettiva vicinanza all’ambiente politico espressosi nel 2022 con la lista di Unione Popolare, che prese allora 1,43% di percentuale e 403mila voti in concreto. Pace Terra Dignità ha preso ora il 2,2% in percentuale e 513mila voti assoluti. Una differenza di 110mila voti. Di sicuro, però, PTD non ha preso la totalità dei voti della lista di UP del 2022: perché molti dei sostenitori di allora hanno ora pubblicamente votato per AVS, in particolare dando la preferenza a Ilaria Salis o a Mimmo Lucano. Ed è possibile, anzi verosimile, che altri non abbiano votato per nulla, per l’assenza sulla scheda di una lista esplicitamente comunista. Probabilmente un terzo, forse la metà di quei voti non è andato alla lista contro la guerra.
Ma questo vuol dire, di contro, che la metà abbondante, e forse di più, dei 500mila e rotti voti presi ora dal simbolo della colomba bianca e del ramoscello verde di ulivo non proviene del piccolo recinto tradizionale della sinistra cosiddetta di alternativa. E questo è un dato sicuramente interessante, perché allude, può alludere, a dinamiche di tendenziale re-impegno civico nel corpo della società. Dinamiche di minoranza, ovviamente. E per ora anche grandemente di minoranza. Ma come ciò che è grande non sempre è destinato a restare grande a lungo, così non sempre ciò che è piccolo in un determinato passaggio storico è destinato necessariamente alla piccolezza. Come diceva il poeta, può anche succedere che “poca favilla gran fiamma seconda”…
Rino Malinconico
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